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BELVE

Lunga vita alla narrativa!

BELVE

L’incontro era previsto per le 21.00 nel parcheggio del centro commerciale, ma come al solito
arrivai con quindici minuti di anticipo. Scesi dall’auto e mi accesi una winston rossa.
In quel mondo digitale forse ero rimasta l’unica persona a fumare ancora analogico.
La condensa del clima di febbraio aggiungeva una consistente nuvola di vapore al fumo passivo
che usciva dalla mia bocca e ciò mi rese ancor più soddisfatta. Spensi la cicca nell’apposito
sistema di riciclo dei mozziconi e mi passai una salvietta sulle mani, poi mi sistemai i capelli e il
trucco di fronte al finestrino della mia panda.
Ero eccitata. Giorgio era entrato nella mia vita da poco più di un mese e l’aveva già stravolta.
Stavo vivendo una seconda giovinezza e poco mi importava se la mia famiglia veniva messa in
secondo piano. L’esigenza di evadere aveva preso il sopravvento ed ora mi trovavo incastrata in
un vortice di passione incontrollabile. Del resto anche lui era sposato con due figli, quindi
navigavamo insieme affrontando tempeste simili.
Aggiustai il trucco sul viso, poi diedi un’occhiata all’orologio: 21.15
Qualcosa non andava. Controllai lo smartphone. Nessuna notifica. Infilai la mano nella borsa ed
estrassi il dinosauro che usavamo per contattarci: Un immortale telefono a conchiglia.
Ma anche lì nessuna chiamata né messaggi. Cominciai a preoccuparmi seriamente così composi
l’unico numero presente in rubrica e attesi.
Al quarto, interminabile, squillo mi rispose una voce di donna.
Cazzo, ero fottuta!
Amo lanciato
Chiusi il dinosauro e rientrai in macchina. Che la moglie l’avesse scoperto? In ogni caso non
sarebbe comunque mai potuta risalire a me, giusto? A meno che quel codardo non avesse
spifferato tutto.
Nella mia mente apparve la raccapricciante scena di sua moglie coi bambini che bussa alla porta
di mio marito per vomitargli tutto addosso.
L’ansia mi attorcigliò le budella, dovevo fare qualcosa, impedire una simile catastrofe. Scesi
dalla macchina col dinosauro stretto in mano e, prima di ricomporre il numero, mi accesi un’altra
sigaretta.
-Pronto? Chi parla?- Disse la voce femminile dall’altro capo.
Ok, e adesso?
Rimasi senza parole, nella mia impulsività non avevo studiato un piano d’azione.
-Pronto? Sei tu, vero? Anche se non parli lo so che sei tu.-
Ecco, la frittata era fatta. E questa volta non sarebbe bastata qualche uova. Anche se c’era
qualcosa di strano in quella voce. Non riuscii a capire subito perché la linea pareva molto
disturbata, ma i conti non tornavano. Decisi di procedere in punta di piedi.
-Buongiorno, mi chiamo Alice, sono assistente alla linea telefonica, cerco il titolare di questo
numero.-
Dopo un istante di silenzio la voce riprese a parlare, questa volta ancora più distante e disturbata.
-Lo so che non sei un’assistente. Sono anni che aspetto questa chiamata. Ora ascoltami bene e
non interrompermi.-

Basita, ascoltai il resto.
-Ho di proposito sottratto questo telefono a mio marito e gli ho fatto fare tardi questa sera. Non
so dove tu sia in questo momento, ma so che lui sta arrivando. Per nessun motivo al mondo devi
restare lì. Va’ via il prima possibile e butta questo telefono. Non cercarlo mai più, cambia città se
necessario.-
La solita solfa. Nonostante la sua voce fosse calma, fredda e piatta come un un lago di
montagna lasciava trasparire un’urgenza che mi mise in allarme.
-Noi non ci conosciamo – dissi – e so che potrei passare per la stronza insensibile e
sfasciafamiglie, ma le assicuro che non è così. Sto passando un momento difficile, non che che
questo mi dia il diritto…
-Non hai capito. Devi andar via subito se non vuoi morire.-
Quelle parole mi lasciarono sospesa in un limbo d’incomprensione. Mi sentivo sull’orlo di un
dirupo e le mie scarpe avevano appena fatto rotolare giù i primi sassolini.
-Come, scusa?- Domandai.
-Vedi, mio marito ha degli impulsi molto particolari e non è facile controllarli. Io è da anni che
provo a tenerlo a cuccia, ma ti assicuro che l’impresa è ardua e colma di ostacoli. Quando fiuta
una preda non la molla più, stanne certa. Ora fai ciò che ti dico e non finirai a pezzi.-
Ecco ci siamo
Nella mia mente le scarpe continuavano ad avanzare verso il baratro. Spensi la cicca, questa
volta lanciandola per terra e rientrai in macchina.
-Cosa stai cercando di dirmi?-
-Che sono stufa di ripulire le sue schifezze. Ogni volta è sempre la stessa storia. Hai mai sentito
parlare della Bestia del Chierese?-
Avevo letto qualche notizia sui giornali, ma non avevo mai approfondito.
-Stai dicendo che tuo marito è un serial killer?-
Dall’altro lato della linea un sospiro lungo un’eternità.
-Purtroppo è un po’ più complicato. Ha sempre ucciso spinto dall’istinto, mai per crudeltà, così
decisi di prendermene cura e non denunciarlo alle autorità.-
Questa era follia. Con il telefono incassato tra spalla e orecchio cominciai a cercare
freneticamente le chiavi della macchina nella borsa per scappare da quell’incubo. Gli occhi
correvano veloci nell’immensità del parcheggio intorno a me. Vuoto e desolato. Buio come il
buco di culo dell’inferno.
-Cerca di capire la mia posizione, – disse -io lo amo e non voglio venga coinvolto in altre
carneficine. Per un po’ è rimasto tranquillo, si limitava a vagare nelle campagne intorno a casa.
quando andava male tornava a casa ricoperto di sangue di maiale, cosa per me ancora
tollerabile.-
La bestia del Chierese, pensai. Ora ricordavo le notizie, riguardavano allevatori che si
lamentavano di animali selvatici che sbranavano interi gregge di suini. Niente a che vedere con
serial killer.

-Ma poi sei apparsa tu, – disse – e hai risvegliato i suoi istinti primordiali. La malattia ha preso il
sopravvento e stanotte la luna è piena.-
Le chiavi continuavano imperterrite a nascondersi nei meandri della mia borsa, come fossero
regolate da una legge fisica a me sconosciuta.
-Malattia?- Domandai con affanno. -E di quale genere?-
Esitazione dall’altro capo.
-Giorgio soffre di Licantropia clinica. Oddio non si trasforma davvero in lupo, se è questo che
stai pensando, ma durante le fasi lunari è soggetto a cambiamenti di personalità e umore.-
Che situazione del cazzo. Per una volta che mi concedevo una scappatella doveva proprio
capitarmi l’incrocio tra Hannibal Lecter e quel dannato Ezechiele dei tre porcellini.
Inspirai profondamente dal naso e svuotai il contenuto della borsa sul sedile del passeggero.
Diedi un’altra fugace occhiata al parcheggio.
-Dovrei essere al sicuro, – dissi – non vedo altre macchine oltre la mia.-
-Oh mia cara, lui non arriverà in macchina.-
Una botta improvvisa fece sobbalzare l’intero abitacolo e il contenuto della borsa si rovesciò un
pò ovunque. Qualcuno era saltato sul tettuccio della panda. Il telefono mi scivolò e si ruppe.
Urlai dallo spavento e il cuore prese a rimbalzarmi in gola. La salivazione assente, la lingua che
usciva per inumidire le labbra.
-Giorgio, sei tu?- Urlai.
Un grugnito giunse da sopra la mia testa. La notte era illuminata da una luna così grande e rossa
da rendere tutto quasi apocalittico. L’ululato squarciò il silenzio del parcheggio. Qualcosa
cominciò a grattare e battere sulla lamiera con furia sovrumana. Una forza sorprendente e
inarrestabile.
Poi le vidi.
Le chiavi dell’auto stavano a pochi metri da me. Fuori, sull’asfalto. Dovevano essermi cadute
quand’ero uscita a fumare. Dunque è vero. Il fumo uccide.
Avevo ancora lo smartphone per chiamare aiuto ma qualcosa dentro me mi disse che non mi
restava molto tempo. Dovevo agire in fretta.
Proprio mentre mi preparavo ad aprire la portiera, qualcosa balzò sul cofano.
Era completamente nudo, con occhi iniettati di sangue e bava alla bocca. I duri lineamenti
dell’uomo che avevo imparato ad amare erano tumefatti dalla follia. Nonostante il freddo di
febbraio i muscoli tesi e scolpiti erano ricoperti di sudore. Le mani, enormi, ricoperte di sangue.
Mi fissò per un istante eterno, poi ululò come un vero lupo e sferrò colpi sempre più forti contro
il parabrezza che si crepò come una ragnatela.
Giorgio era la Bestia del Chierese ed io la sua preda.
Il vetro andò in frantumi in una manciata di secondi e premetti la schiena contro lo schienale per
evitare di essere inondata di schegge.
Quello era il momento
-Ora! Intervenite subito!

I lampioni del parcheggio del centro commerciale presero vita contemporaneamente inondando
l’abitacolo di luce artificiale.
La bestia si girò carponi sul cofano scordandosi per un attimo di me. Uggiolava e ringhiava.
Una decina di macchine, tra carabinieri e polizia di stato, circondarono la mia panda e uomini in
uniforme uscirono con pistole e mitra puntati. Da un altoparlante giunse la voce del comandante
Fazi: -Non cercare di scappare! Scendi dalla macchina con calma e non ti verrà fatto alcun
male!-
La bestia sembrò non afferrare il senso di quelle parole, era disorientata e frastornata dalla luce,
dai lampeggianti, dalle sirene.
Si girò verso di me e nel suo ringhio feroce colsi la presenza e la puzza del demonio.
Un lupo non potrà mai essere addomesticato, dicevano i suoi occhi.
Aprì le fauci e puntò diretto alla mia gola. Mi riparai con il braccio destro e un istante dopo una
raffica di colpi lo crivellò sulla schiena.
Si spense così, adagiato sul cofano di una panda gialla, con la testa a penzoloni sul mio
cruscotto e la bava colante dalla bocca aperta.
Scesi dalla macchina e fui circondata dai colleghi, tutti premurosi. Fazi era in prima linea e mi si
avvicinò cauto.
-Come ti senti, Stella?-
-Sconvolta. Non avevo mai visto nulla di simile prima.-
-Già.- Disse. -Speriamo di non doverci abituare, purtroppo non conosciamo i limiti della follia
umana.-
-Avevo quasi rinunciato.- Dissi – Anche se le piste portavano a lui, non avrei mai ritenuto
possibile che un uomo così affabile potesse tramutarsi in tale bestia. Come diavolo ha fatto a
sfondare il parabrezza a pugni?-
-Questo non l’avevamo calcolato, probabilmente dagli esami tossicologici risulterà imbottito di
droghe.-
Non ne ero così convinta.
-Dieci minuti fa’ una volante ha arrestato la moglie.- Disse – Continua a sostenere che possa
essere curato, è all’oscuro di quanto accaduto per il momento.-
Fazi si accasciò a terra e si infilò le mani tra i folti capelli bianchi.
-Dieci donne e sette bambini la penserebbero in modo diverso, capo.- Dissi appoggiando una
mano sulla spalla.
Si girò verso di me con occhi lacrimanti. -Ora l’abbiamo preso il figlio di puttana!-
Mi porse un’analogica e restammo lì a fumare in silenzio fino all’arrivo dell’ambulanza.
-Vai a farti vedere il braccio, sembra una brutta ferita.- Disse Fazi rialzandosi.
-E’ solo un morso, passerà.- Dissi congedandomi.
La fasciatura era stretta e solida. Sembrava reggere bene. Rientrando in casa quella stessa notte,
mi fermai nel cortile che si affacciava alla campagna Chierese. La luna piena mi fissava come se
si aspettasse una risposta. In lontananza un ululato squarciò il silenzio immacolato.

Gli uccelli addormentati sugli alberi volarono via. La natura non ti darà mai la possibilità di scegliere se
essere preda o predatore. Ci nasci e ci muori.
Fanculo, pensai entrando in casa. Quella notte avevo già visto troppo. Era ora di dormire.

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