DATA DI SCADENZA
-Quand’è la tua?-
-Non impicciarti in faccende che non ti riguardano!-
Denise affondò il viso nel cuscino in memory e scoppiò in lacrime. Cesare le appoggiò una mano
sulla schiena, accarezzandola con dolcezza.
-Avanti, tesoro. Non dovrebbero esserci segreti tra noi. Questo mondo è già abbastanza
complicato, non dobbiamo lasciarci schiacciare.- Volse lo sguardo alla finestra. Al di fuori, la
pioggia non voleva saperne di smettere. Il vento ululava e gli alberi si piegavano alla sua volontà.
Gli venne in mente una frase adatta alla situazione: -Come disse Brandon Lee in quel vecchio
film, “non può piovere per sempre”-
-Fanculo tu e Brandon vattelapesca!- Denise si alzò dal giaciglio e scostò bruscamente
Cesare.
-Dove credi di andare?-
-Lontano da qui, lontano da te, lontano da tutto!-
-Non puoi e lo sai. Moriresti nel giro di qualche ora. Solo i guardiani possono circolare
all’esterno. Queste sono le regole e vanno rispettate, per il tempo che ci resta.-
Lei si asciugò il viso con una manica, il moccolo le colava dal naso.
-Lo so, ma almeno sarei io a decidere quando morire e non loro.-
-Quindi vuoi suicidarti?- Cesare cominciò a essere preoccupato sul serio.
-Voglio tornare indietro-, disse lei. -A quando si poteva ancora correre all’aperto, fare la
spesa, portare i bambini al parco. Dicono che la data assegnata sia casuale, ma io non ci credo.
Le persone come te e me non sono necessarie in questo inferno e loro lo sanno. Per questo…-
La sua voce si spezzò e altro muco le colò dal naso.
-Per questo la mia data…- Gli scagliò in faccia il cartellino di plastica consegnatole dal
guardiano quella mattina stessa.
Cesare rimase imbambolato per un istante, poi afferrò la targhetta e la esaminò con cura.
DENISE ROVERI. DATA DI SCADENZA 3 GIUGNO 2042
-Ok, rimane ancora abbastanza tempo. Potremmo presentare ricorso.-
Denise s’infilò la mantellina gialla impermeabile, gli stivali alti di gomma e si diresse alla
porta.
-Tre giorni. Compio 23 anni tra un mese e mi hanno concesso solo più tre giorni. Ti
sembra che sia abbastanza tempo?-
-Se esci adesso, non durerai neanche tre ore. Resta con me.-
Lo fissò ancora per un istante, poi uscì nel diluvio globale che imperversava sul pianeta da anni.
Il mondo che conosceva non esisteva più. L’acqua, che rappresentava la vita stessa, aveva portato
via ogni cosa, lavato ogni peccato e annegato ogni peccatore.
Ma a lei tutto ciò non interessava. La sua ora sarebbe scoccata molto prima di quanto si sarebbe
mai potuta immaginare. Era sconvolta. Cesare non la capiva e restare in quella baracca sarebbe
stato fatale per la sua anima. Se ne sarebbe andata facendosi cullare dal letto del fiume, cercando
una pace che nella sua breve vita le era stata negata.
Scese le scale di pietra e salì sulla barca. Ritirò l’ancora e slegò gli ormeggi ammuffiti.
Voleva sfidare la tempesta, osare fino alla fine. Nessuno poteva appiccicarle addosso un’etichetta
come fosse un pacco di carne macinata.
La piccola imbarcazione prese il via e s’inclinò sotto la furia del vento, ma resistette. Lei avrebbe
fatto altrettanto.
Cesare sputò a terra del sangue e un paio di denti.
-Dov’è andata? Rispondi!-
Il guardiano si ergeva su di lui. Lo stivale schiacciava la sua testa immobilizzandolo.
-Vi ho già detto quello che so. E’ uscita con la barca nella tempesta tre giorni fa’. Sarà
morta da un pezzo.-
-Mostrami la tua data di scadenza!- Ringhiò.
Tremando, Cesare porse il tesserino a quell’essere abominevole.
CESARE RODRI. DATA DI SCADENZA 7 GENNAIO 2043
-Hai ancora diversi mesi, sei fortunato. Ora verrai a farti un giro con me.-
Il guardiano lo afferrò per la maglia e lo scaraventò giù dalle scale. Lo raggiunse e, con un calcio
in culo, lo fece rimbalzare sull’imbarcazione. In silenzio avviò il motore e s’inoltrò nella
tempesta.
Denise non poteva credere ai suoi occhi. Tutto ciò che le avevano detto era falso.
Il mondo non stava per finire, non c’era nessuna tempesta globale.
Era tutta una cazzo di messa in scena!
Perché, pensò. Perché qualcuno farebbe una cosa simile?
La barca era sopravvissuta e lei con essa. Il sole splendeva in un cielo azzurro infinito,
foreste rigogliose di frutta e animali la circondavano.
Altro che data di scadenza, quello era il paradiso in terra!
Colse un frutto rosso da un ramo gentile e lo addentò. Era succoso, dolce con qualche
nota acidula. Era la cosa più buona che avesse mai assaggiato.
-Che cosa significa tutto questo?- Domandò Cesare.
Il guardiano scorse l’imbarcazione malconcia e si accostò alla riva. Non rispose a quelle insulse
questioni del giovane schiavo. Aveva un solo obbiettivo: ritrovare la fuggiasca.
Le nuvole si erano diradate e il sole brillava come non mai. Cesare ne fu accecato.
Si rivolse al suo carceriere con rabbia: -Ci avete mentito! Tutti questi anni… Quale orrenda
bugia!-
-Taci.- Il guardiano lo sollevò di peso dalla barca e lo lanciò sulla riva sabbiosa. Si
avvicinò, lo afferrò per i capelli e gli agganciò un collare metallico. -Hai 60 minuti di tempo per
ritrovare la fuggitiva e riportarla qui da me. Scaduto tale termine, il dispositivo che hai al collo
esploderà e la tua testa con lui. E’ tutto chiaro?-
Cesare si sollevò a fatica. Aveva sabbia ovunque, il volto tumefatto e il corpo dolorante
per le botte subite. Puntò gli occhi iniettati di furore sul suo assalitore.
-Perché ci fate tutto questo? Ci avete ingannato facendoci credere di essere sull’orlo
dell’estinzione. Ci avete destinato ad una morte programmata, ad una vita senza scopo. E poi…
Come avete fatto a controllare gli agenti atmosferici?-
-Noi controlliamo tutto.- Fu la risposta.
Cesare strinse i pugni e si voltò verso la fitta giungla, colma di vita.
Il guardiano sogghignò, poi aggiunse: -La tua data di scadenza è stata revocata. Ora ti restano 58
minuti.-
A poco più di un chilometro di distanza, Denise inciampò sulla radice di una quercia
centenaria, rovinò a terra e la sua testa incontrò una pietra rotolata fin lì tanto tempo prima.
Poi tutto divenne buio.
Niente da fare. Quel dannato collare era un osso duro e non si sarebbe aperto neanche con
una fiamma ossidrica. Gli rimanevano due opzioni: cercare Denise in quel labirinto di alberi,
liane e dio solo sapeva cos’altro – che equivaleva a morte certa -, oppure tendere un agguato al
guardiano e obbligarlo a disinnescare l’ordigno.
Era sempre stato pavido. Cresciuto in un mondo in cui – nonostante guerre, epidemie e disastri
climatici – la gente nutriva e coltivava speranza. Le persone facevano il possibile, andavano
avanti amalgamandosi tra le difficoltà.
Poi erano arrivati loro.
Creati dalla generazione dei suoi genitori, a guardia di un pianeta che rischiava il
collasso. Angeli tra gli uomini. Demoni mascherati da angeli, da quanto aveva appreso di
recente.
Il finto diluvio universale era cominciato pochi anni prima, lo stop alle nascite subito
dopo. La stramaledetta data di scadenza sulle persone, dovuta alla mancanza di risorse sul
pianeta, era l’ultima chicca che circolava già da diversi mesi.
Insulsa bugia.
Era sempre stato pavido.
Ora, acquattato dietro un arbusto aspettando il momento giusto per scaraventarsi contro il
guardiano, Cesare Rodri decise che non lo sarebbe più stato.
-E’ ancora viva?-
Un martello incessante batteva sulle sue tempie togliendole quasi il fiato.
Quando aprì gli occhi, due ragazzini vestiti di stracci e foglie la stavano punzecchiando con un
bastoncino di legno. Il più alto dei due si chinò su di lei e le sorrise: -Da dove vieni? Come hai
fatto a sfuggire ai guardiani?-
Si mise a sedere e il mondo cominciò a girarle intorno.
-Non lo so-, disse la sconosciuta. -Devo essere caduta, non ricordo altro. Voi chi siete?
Chi sono questi guardiani?-
I due giovani si guardarono per un attimo, poi il più alto domandò: -Ricordi almeno chi sei o
come ti chiamano?-
Lei si alzò in piedi. Si appoggiò ad un albero per non venire sopraffatta dalle vertigini. La vista
era ancora appannata.
-Niente di tutto ciò. Dentro la mia testa c’è un vuoto totale.-
Il ragazzo sorrise di nuovo.
-Allora sei una donna fortunata.-
Il ramo era duro abbastanza.
Lo strinse fino a farsi sanguinare i palmi delle mani e partì alla carica. Il guardiano non si
aspettava un comportamento ribelle, quindi fu colto di sorpresa e la legnata lo colpì in pieno
volto. Volò a braccia aperte come un angelo sulla sabbia.
Cesare gli montò sopra come una furia omicida e lo massacrò di colpi pesanti su tutto il corpo.
Sapeva di non poterlo uccidere, ma aveva bisogno di sfogare l’impulso di vendetta nei confronti
di tanta crudeltà.
-Toglimi il collare o ti smonto quella testa di latta, lo giuro su Dio!-
Urlava e sbavava come una bestia.
Il guardiano trasformò la sua faccia deformata dall’attacco in un ghigno beffardo.
-Non hai eseguito il comando, non posso disinnescare la bomba. Staccami pure la testa,
io sono ovunque, ricomparirò in un altro corpo. La rete ci connette tutti.-
Che cosa abbiamo creato? Quale meschina diavoleria?
Cesare sollevò il bastone, poi disse: -vorrà dire che me ne andrò col botto. Toglimi solo una
curiosità: qual’è lo scopo di tutto questo?-
-Voi ci avete ordinato di farlo, o perlomeno i vostri avi. Proteggere la vita a tutti i costi
era un input primordiale inserito alla base del nostro algoritmo. Forse un programmatore ha
sottovalutato la nostra computazione evolutiva.-
-Ma per quale motivo tenerci rinchiusi e assegnarci una data di scadenza? Potevate
sterminarci, dichiararci guerra o chessò! –
-La guerra non è tollerata. Lo sterminio non è tollerato. Siete solo un branco di scimmie
in attesa della banana. La data di scadenza è l’unica soluzione accettabile, l’unica via per
ottenere il risultato dell’equazione finale.-
-Proteggete la vita, togliendola.-
-I calcoli hanno portato a questo.-
-I calcoli…
-Tutto si basa sui calcoli, idiota di un essere umano.-
Il bastone calò e la testa del guardiano rotolò sulla sabbia, diretta verso nuovi orizzonti.
Cesare si accasciò a terra. A occhio e croce gli restava ancora qualche minuto.
Pensò a Denise. Avrebbe dovuto darle ascolto, rimanerle vicino, fuggire insieme.
Fanculo, le storie non vanno sempre a finire bene.
Un boato fece fuggire gli uccelli dai rami degli alberi intorno a loro.
-Che diavolo è stato?- Domandò lei.
I due ragazzi alzarono gli occhi al cielo. -Non lo so-, disse uno dei due. -Sembrava un’esplosione
e veniva dalla spiaggia, quindi conviene muoversi.-
-Dove andiamo?-
-Dalla nostra tribù. Viviamo perlopiù sugli alberi e ci spostiamo di continuo, ma non è
malaccio. Ci divertiamo anche alla grande, sai?-
Lei sorrise, poi disse: -Suona bene.-
Il ragazzo più piccolo, che ad una prima occhiata poteva avere sì e no otto anni, la prese per
mano e le domandò: -Dato che non ricordi come ti chiamano, posso darti un nome nuovo?-
-Mi sembra una buona idea.-
-Allora ti chiamerò Prima-, disse il bambino del nuovo mondo saltellando come un grillo. -Dato
che sei la prima donna adulta della nostra tribù.-
-Mi piace-, disse Prima inoltrandosi nella foresta insieme alla sua neonata famiglia.